Progetto Collettivo 2020
Un paio di cose che credo di aver capito sulla fotografia reclusa
Sguardo recluso, fotografia reclusa. Sarò sincero: in questo tempo di restrizione la bilancia pende, per me, più a favore dei vantaggi che delle frustrazioni. Questa strana bolla di tempo sospeso ha imprigionato il corpo, ma non la mente. Anzi, ha favorito qualche ripensamento sullo sguardo e sulla fotografia. Mi spiego. Guardare, il verbo che regge buona parte dell’atto fotografico, è un gesto potente, che richiede decisioni. Io decido quanto è ampio il mio orizzonte. Per esempio: posso camminare guardando solo i miei piedi; oppure posso camminare e guardare il sentiero e gli alberi e i campi e magari anche il cielo e le nuvole. In altre parole: io decido quanto è grande il mondo in quel momento. Io decido la velocità del mio sguardo, cioè: deci do quanto tempo mi soffermo sulle cose o su alcuni aspetti delle cose. È il ritmo che il mondo ha, per me, in quel momento. Ecco, queste sono due decisioni potenti che lo sguardo metteva in atto prima della quarantena. E oggi?
Oggi il mio orizzonte è stato deciso da altri. Oggi il mondo si è contratto, è stato relegato d’imperio nelle stanze in cui vivo e l’esperienza del mondo, là fuori, posso farla solo dalla finestra, che diventa – come diceva Luigi Ghirri – un’inquadratura naturale. Oggi vivo il mondo esterno come una fotografia lunga giornate intere. E la finestra, o la porta, sono diventate soglie invalicabili, soglie attraverso le quali non è più possibile il passaggio tra il dentro e il fuori. Così, questo orizzonte ristretto mi ha compresso verso una interiorità tutta da esplorare. In questo orizzonte limitato succede una cosa bellissima: la velocità del mio sguardo rallenta. Se prima lo sguardo era, detto in termini musicali, un presto o un prestissimo, cioè era uno sguardo nevrotico, che non si posava mai a lungo sulle cose, oggi lo sguardo è un largo, un adagio con sentimento. Oggi il mio sguardo si ferma, si stende sulle cose, in ascolto: del domestico quotidiano, dell’umile, del dimenticato. E questa nuova esplorazione porta alla luce qualcosa che era rimasto incompleto. Lo sguardo rallentato ha, paradossalmente, creato una nuova vastità dell’orizzonte. Il mondo è tornato ad allargarsi, in direzioni e profondità dimenticate. Verso la memoria, verso il desiderio, verso la voglia di futuro, verso ciò che era nascosto perché ignorato dall’abitudine. Cosi, in questi giorni di quarantena, le mie fotografie sono diventate, anche a mia insaputa, le mappe di un nuovo mondo, un po’ reale e un po’ immaginario. Mappe di un nuovo stupore.
Aprile – Settembre 2020
Enrico Prada